A volte l’architettura prende la forma della narrazione. Following the fish è il titolo di un’installazione che, lontano dalle luci dei Giardini e dell’Arsenale, narra la diaspora africana in Catalogna, interpretando nel migliore dei modi possibili il tema proposto dalla curatrice della Biennale di Venezia Lesley Lokko.

Il pesce è una metafora su cui si costruisce la narrazione del collettivo Top Manta, simbolo e antefatto delle cause che lentamente nel corso dei secoli hanno soffocato, bloccato e interrotto le possibilità di sviluppo dell’economia africana. Il pesce di questa storia senegalese potrebbe tranquillamente essere sostituito in altri luoghi del continente africano da altro – il caffè, il cobalto, il magnesio o il rame, ma anche il tè o l’uranio – perché l’Africa custodisce tesori che basterebbero da soli a costruire un’altra storia del continente.

In Senegal la pesca era un tempo fonte di cibo e ricchezza per l’economia locale, ma il suo sfruttamento massiccio da parte di imbarcazioni soprattutto europee per produrre mangime per gli allevamenti ittici – da cui inoltre derivano gravi danni per l’ambiente e malattie croniche per le comunità vicine – ha distrutto l’economia degli abitanti. In queste circostanze, infatti, i pescatori non riescono più a vivere con la pesca e anche le donne che lo lavoravano con metodi tradizionali sono costrette a lasciare il loro villaggio, le loro case.

Pescatori e famiglie sono costretti a migrare, si dirigono in quell’Europa che li ha obbligati ad abbandonare la loro terra in cerca di un luogo e forse di una società che restituisca loro sotto altra forma ciò che gli è stato tolto. Al momento del loro arrivo vengono ospitati nei centri di accoglienza e detenzione, che in Europa sono duecentottanta, sette in Spagna, di cui uno è a Barcellona e qui ci porta la nostra storia.

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