Provate a immaginare un luogo che custodisce milioni di fotografie raccolte a partire dal 1895, creato per conservare la memoria di città, spazi, monumenti, ma non solo. Questo luogo si trova nel complesso del San Michele a Roma, si chiama Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Qui c’è un archivio straordinario preposto alla conservazione della nostra memoria attraverso il medium fotografico: nel corso degli anni si sono stabilite e articolate metodologie e procedure standard per la catalogazione del patrimonio archeologico, architettonico, storico-artistico, si sono raccolti archivi pubblici e privati, sono stati commissionati lavori ad artisti e sono state organizzate mostre. Attraverso la fotografia si è creata una mappa delle trasformazioni del mondo che ci circonda. È il luogo delle sopravvivenze. Aby Warburg, che ha introdotto il motivo fondamentale della sopravvivenza (Nachleben) nella sua analisi delle immagini, oggi lo considererebbe esattamente per quello che è: uno straordinario spazio di sperimentazione. Artisti e studiosi periodicamente sono invitati a guardare questo luogo e a relazionarcisi, perché un archivio come questo custodisce molto altro rispetto a semplici oggetti fotografici. In un certo senso questo istituto è l’esatto contrario dell’enorme corpo di immagini che continuamente, in modo compulsivo, accumuliamo ogni giorno non per ricordare, ma per essere sicuri di aver vissuto. Cosa possiamo fare di questo Atlante della nostra esistenza, se non provare a dargli significato? È ciò che ha fatto nella sua residenza d’artista Joan Fontcuberta, fotografo, saggista, curatore e autore di testi critici sulla fotografia, di cui esplora e manipola i confini tra reale e illusorio, verità e finzione.

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