Chi ha il coraggio di scalare le vette più ripide della commedia? Perché la commedia non sta in basso, alla fine della strada più facile da percorrere, quella che porta dritto al consenso del pubblico. Al contrario è una soluzione oggi difficile, che presuppone molto mestiere e particolare sensibilità, e infatti è poco praticata. Può esserci il monologo brillante, la sequela di sketch o l’intrattenimento dell’one man show, ma la commedia, tolte quelle di Goldoni e le soluzioni più commerciali, è ormai talmente rara che quando capita di osservarla si rimane sorpresi, come di fronte a un animale esotico, osservato solo su qualche antica storia naturale.

Così accade più o meno di fronte al percorso artistico dei Sacchi di Sabbia, compagnia tosco-napoletana, residente a Pisa, attiva da una trentina d’anni – da quando fu annunciata la discesa in campo del Cavaliere e nel frattempo a Pisa veniva diramata l’allerta per una piena anomala dell’Arno, con l’esortazione a procurarsi sacchi di sabbia da mettere vicino alle finestre e alle porte. 

La piena per fortuna non fece danni. Il nuovo partito del Cavaliere invece ruppe gli argini e dilagò. I due fatti non hanno nulla a che fare con la nascita della compagnia, se non per la scelta del nome.

Cosa non di poco conto, dal momento che nel nome spesso si nasconde, se non un destino, almeno un sentimento, che per loro corrisponde a quell’essere contro-tempo, un po’ in difesa, un’armata Brancaleone volutamente inattuale, allegramente fuori moda. Il terreno di indagine è il comico, che scovano nelle pieghe delle tragedie, nelle sacre rappresentazioni o in narrazioni primonovecentesche, attivando il filtro della parodia che permette di giocare con recuperi allo stesso tempo colti e popolari.

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