Nel mio immaginario Roma è una città pubblica, perché ha al suo interno un ordine nascosto che rende i suoi spazi e la loro memoria luoghi che appartengono a tutti nonostante i tentativi di privatizzare il suo vasto territorio. È molto importante per conoscere Roma imparare a riconoscere il valore di questi luoghi e prendersene cura.

Federico Fellini apre il film Roma con una sequenza dedicata al Grande Raccordo Anulare (l’infrastruttura stradale circolare di settanta chilometri che circonda la città, completata nel 1970), estrae un frammento della città per raccontarla attraverso di esso. 

Ma il GRA, acronimo che coincide con il nome dell’ingegnere progettista, è in realtà l’accesso della città alla città. Il progetto in origine non aveva nessuno scopo legato alla crescita, ma è diventato l’unica figura urbana del secondo Novecento che ha avuto il potere di strutturare la forma della città. Come? Unendo le strade consolari romane, quelle che per secoli sono state le direttrici attorno alle quali si è sviluppata l’Urbe – Casilina, Tuscolana, Appia, Nomentana, Tiburtina, Cassia, Aurelia –, quelle che in gran parte rappresentano le strade del mito di “tutte le strade portano a Roma”.

Attraverso la sua circolarità il GRA annulla il rapporto centro-periferia, non dà una direzione perché non ne ha bisogno. 

Lo sterminato campo urbano della Roma del dopoguerra trova nel GRA, a partire dal 1970, un nuovo confine dentro una nuova struttura architettonica, un segno che poi negli anni Ottanta-Novanta si è fatto non definitivo, nel senso che la città continua oltre, si affaccia o si aggancia a questa autostrada per ottenere piena cittadinanza.

Cosa ci suggerisce questo sguardo sulla porta d’ingresso alla città?

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