Come ogni martedì fino al 5 giugno, Gianluigi Rossini commenta per Snaporaz i singoli episodi dell’ultima stagione di Succession, la migliore serie TV degli ultimi dieci anni. 

Il penultimo episodio di Succession si fa carico di un doppio lavoro: da un lato è già parte del finale, dunque tramite il funerale di Logan fa tornare numerosi personaggi secondari che probabilmente vediamo per l’ultima volta, permettendoci di dirgli addio. È una prassi tipica delle serie tv di lunga durata – Jason Mittell in Complex tv parla di “chiamate alla ribalta”, come a teatro – con risultati a volte un po’ artificiosi e ruffiani, ma qui viene svolta invece con una gran maestria drammaturgica, il cui picco è raggiunto con le quattro donne in lutto sedute vicine in prima fila. Dall’altro lato Church and State pone le basi per lo scontro finale, richiamando nel titolo quella separazione dei poteri e delle sfere che nella serie viene puntualmente infranta, che sia tra politica e media o tra pubblico e privato, tra azienda e famiglia. Il funerale non è e non può essere solo un funerale, è un’altra partita da giocare, tanto più importante in quanto tra i banchi c’è il quasi-presidente Mencken. 

Roman inizia l’episodio da trionfatore, ma com’era prevedibile crolla, di fronte alla bara, finalmente assalito dalla consapevolezza della morte del padre proprio nel momento di massima esposizione pubblica. Non si sottolineerà mai abbastanza il contributo degli attori alla riuscita di Succession: quando sale sul palco, Kieran Culkin evoca l’implosione di Roman con una specie di afonia infantile, emette una vocina sottilissima che infine si spezza in un pianto dirotto, uno spettacolo tanto più straziante in quanto capiamo che verrà usato contro di lui. Ancora una volta una forte affettività è un punto debole, che lo fa immediatamente diventare uno zimbello. Kendall, che al contrario partiva da sconfitto, nel sedile posteriore dell’enorme Cadillac nera, incassati l’abbandono di Rava prima e poi di Jess, a quel punto viene incaricato di rimediare al disastro e ci riesce, riscuotendo un successo non solo per sé, ma per quell’eredità paterna di cui i tre fratelli vogliono impadronirsi. Nell’ultima scena Roman scompare nella folla, in un impulso autolesionistico che prelude a una resa dei conti finale tra Shiv e Ken, arco narrativo tracciato, d’altra parte, almeno dal quarto episodio della stagione. Kendall sembra aver portato a compimento il proprio percorso di trasformazione in Logan: sostituisce Jess con Hugo, addirittura assume Colin, ma soprattutto manipola brutalmente un Roman ancora traumatizzato, per portarlo dalla sua parte. Stavolta tuttavia anche Shiv è pronta a tutto, ad abbattere pure la sua ultima linea di non ritorno: scende a patti con il diavolo Mencken in persona, candidandosi ufficialmente per il top job e superando così l’obiezione di mancanza di esperienza che la perseguita sin dalla seconda stagione. 

La lunga sequenza all’interno della chiesa, per quanto muova anche gli ingranaggi della trama, è soprattutto il momento per una riflessione su Logan: sul suo privato, sulla sua figura pubblica e sulla sua legacy. Il fatto che il personaggio sia scomparso così presto sta portando, mi pare, a una certa tendenza al rimpianto tra i commenti a Succession, a una sua glorificazione soprattutto nel raffronto tra l’incapacità dei figli e la sua iper-capacità. Ma è un fraintendimento, un’idealizzazione del personaggio negativo che è sempre stata un problema per le serie di prestigio, dai Soprano a Mad Men a Breaking Bad. Serie più recenti come Bojack HorsemanBetter Call Saul Barry hanno cercato con maggiore attenzione di evitare questo pericolo, dissipando le ambiguità con più forza. Così anche Succession: in nessuno dei tre discorsi funebri ci è permesso di dimenticare che cosa è stato Logan, un uomo che ha creato un’incredibile ricchezza per sé rendendo il mondo un posto peggiore. Ewan e Kendall lo descrivono, in sostanza, nello stesso modo, traendo tuttavia conclusioni opposte; la sintesi di Shiv, più umana e personale, non è comunque credibile nel voler rassicurare che “tutto è ok”. La vera legacy di Logan, d’altra parte, sono Mencken e le rivolte per strada, che minacciano la vita dei suoi stessi figli.

Considerazioni sparse

Succession, che mai una sola volta ha usato un solo flashback, ha sempre alluso ad avvenimenti passati noti ai personaggi e sconosciuti a noi. Ora finalmente abbiamo saputo cos’è successo a Rose, sorella di Logan morta ancora bambina di una poliomielite forse contagiata da lui. E abbiamo conosciuto Sally Anne – nominata per la prima volta in Return (settimo episodio della seconda stagione), quella dell’estate dei cavalli, diceva Roman – alla quale, pare, Logan aveva regalato un’arpa. L’attrice che la interpreta, Nicole Ansari-Cox, è la vera moglie di Brian Cox. 

Tra la solennità del funerale e la guerra fratricida del ricevimento c’è il meraviglioso intermezzo della cappella di famiglia, un momento intimo tra fratelli, comico e densissimo di piccole idee perfette: la bruttezza del monumento, che Logan non ha ideato né costruito, ma comprato a buon prezzo da un imprenditore delle vendite online, cosa di cui era molto orgoglioso e che Ken apprezza; il fatto che avesse questo canale di comunicazione esclusivo con Connor; Roman che non riesce nemmeno a entrare, Shiv che dice “Cat food Ozymandias”, scatenando i fan di Breaking Bad.

Al penultimo episodio, Jesse Armstrong si concede il lusso di un paio di gioiosi “fuck you” al moralismo statunitense: Shiv che, incinta, beve un bicchiere di champagne; Matsson che dice “siete una democrazia da solo cinquant’anni (se si conta da quando votano anche i neri)”.

Mi mancherà lo zio Frank, quel tipo d’uomo rassicurante alla Bersani, che non sa parlare senza usare metafore campagnole: Logan era “a salty dog”, “a good egg”, dice non credendoci neanche lui.